1898: uno Yumi sotto il cielo di Roma

15 settembre 2011

Ci sono nel corso delle vicende storiche eventi particolari, di cui non resta notizia o traccia scritta, se non magari solo una fotografia, che nel momento in cui viene scattata non presenta alcun significato speciale; sono eventi destinati ad essere dimenticati, finché, quando giunge il momento opportuno per essere adeguatamente riconosciuti da chi ha la competenza per farlo, balzano improvvisamente alla ribalta, indipendentemente dal numero di anni trascorsi.

L’argomento di queste righe rientra appieno nel novero di tali eventi particolari, poiché si tratta della prima volta in cui fu effettuato il tiro con l’arco giapponese in Occidente – ben prima della vicenda di Eugen Herrigel – almeno per quanto ne sappiamo sinora. Tale evento fu immortalato da una foto, che di seguito riproduciamo:

Tanaka Mazutaro nel Foro Romano

Tanaka Mazutaro nel Foro Romano.
Il tiro è effettuato nella Basilica di Massenzio.

Essa si trova a pag. 384 del primo dei due volumi dell’opera Giacomo Boni nella vita del suo tempo (Ceschina, Milano, 1932), una vasta biografia del grande archeologo Giacomo Boni (1859-1925), redatta dall’allieva Eva Tea. Fu Placido Procesi a mettere nella giusta luce questo eccezionale documento, che riteneva molto importante per la storia del Kyudo, e stimava l’evento di quelle frecce, scoccate con uno Yumi nel Foro Romano, quasi una semenza sottile per la fioritura di questa Via tradizionale sotto il cielo di Roma. Ma perché questa foto compare su un libro come questo, di argomento così diverso?

Buona parte del ventiduesimo capitolo del volume è dedicata all’amicizia che intercorse tra il Boni e il nostro arciere, il cui nome era Tanaka Mazutaro. Questi, in sintesi, sono i dati che si possono trarre da quelle pagine.

La copertina di "Giacomo Boni nella vita del suo tempo" di Eva Tea
A partire da una data imprecisata, e comunque non anteriore al 1896, Giacomo Boni ospitò nella sua casa Tanaka Mazutaro, proveniente da Tokyo, che gli fu presentato dallo scultore suo amico Moriyoshi Naganuma (1857-1942). Da quasi trent’anni il Giappone era entrato nel Periodo Meiji (1868-1912), durante il quale esso si era ormai aperto all’Occidente, avviando il ben noto processo di modernizzazione. In tale quadro, un certo numero di giapponesi si recò all’estero per studiare ed acquisire nuove competenze nei campi più disparati, dall’industria al commercio e all’arte, ed è in tale fase che si inserisce la presenza in Italia di alcuni giapponesi, tra cui il nostro arciere.

Il testo di Eva Tea non specifica quale fosse l’esatto motivo della presenza a Roma di Tanaka, e l’unico spunto in tal senso è che egli era stato “respinto dai diplomatici suoi connazionali”; fatto sta che tra questi e il Boni si instaurò un rapporto di simpatia ed amicizia, tanto che Eva Tea nella medesima biografia non esitò a scrivere (vol. I, pag. 110): “Il dono più prezioso di Naganuma a Boni fu l’amicizia di Tanaka Mazutaro […]“. Sette pagine della biografia sono dedicate al soggiorno di Tanaka presso Giacomo Boni, con aneddoti ed episodi che rievocano un rapporto di luminosa e serena levità, coltissimo e sapido allo stesso tempo.

Da quelle pagine si può desumere la formazione decisamente tradizionale di Tanaka, il quale, tra l’altro, si dedicò insieme a Boni a tradurre gli scritti di Yoshida Kenko (1283-1350), uno degli autori più importanti dell’epoca Kamakura, e dello Hojoki di Kamo no Chomei (1155–1216). Nel testo di Eva Tea non si fa menzione del fatto che Tanaka tirasse con l’arco, e l’unico documento che lo attesta è la foto pubblicata.

Certamente il Kyudo non fu per Tanaka un’attività secondaria. Sorprende soprattutto il fatto che abbia portato dal Giappone con sé, in un viaggio decisamente più disagevole rispetto ad oggi, arco e frecce, e che abbia tirato nel Foro Romano (per l’esattezza, la foto lo ritrae mentre tira all’interno della Basilica di Massenzio). Il suo atto non dovette essere casuale, e non si può escludere che sia stato frutto di una decisione concepita in Giappone, forse per propiziare una prima diffusione oltremare delle arti tradizionali.

In ogni caso, desta una certa impressione il fatto che proprio nel centro della civiltà romana, componente fondamentale della cultura europea in senso lato, si ebbe la prima manifestazione in Europa del Kyudo, uno dei più elevati Budo nipponici. Le corrispondenze, tuttavia, non si fermano qui.

E’ infatti lo stesso Boni, così come citato da Eva Tea a pag. 519, a mettere in relazione la presenza e gli interessi più profondi di Tanaka con le fondamentali scoperte che di lì a poco avrebbero rivoluzionato la percezione delle origini di Roma agli occhi della cultura ufficiale, al di là degli interessati pregiudizi che vedevano nell’Urbe una sorta di rozza appendice della civiltà greca. E’ un brano ellittico ed allusivo, denso di riferimenti e di analogie, che va letto nella sua interezza:

Mentre insegnavo all’ospite i primi rudimenti di alcune lingue europee, egli mi decifrava i cinquemila ideogrammi del Tao-te-king di Lao-tze, pensatore più antico e più universale di Socrate. Tale puro lavacro intellettuale mi schiuse gli occhi alla Via suprema delle umane cogitazioni e, scendendo, nel 1898, nella valle del Foro, per cercarvi la Via Sacra ed il Sepolcreto Romuleo ed i sacrari di stato ed altri monumenti delle origini nostre, li seppi raggiungere evitando per quanto era possibile di scomporre le pieghe misteriose e permalose al grave involucro patentato della scienza accademica“.

In quella cruciale campagna di scavi Boni scoprì, tra l’altro, il Lapis Niger, un “sacrario di Stato” della massima importanza, che grazie alle sue epigrafi avrebbe confermato la storicità dell’antica monarchia romana, da molti “luminari” liquidata come una mera leggenda nata dalla fantasia degli storici antichi…

L’auspicio è che sia possibile in futuro conoscere meglio la figura di Tanaka Mazutaro, un giapponese che alla fine dell’Ottocento non esitò a portare con sé arco e frecce in una terra lontana, per tirare in uno dei suoi luoghi più antichi e sacri; un personaggio di raffinata cultura e squisita sensibilità, che a proposito dell’amico archeologo scrisse queste bellissime parole (pag. 522): “Il mio cuore si profonda nel dolore, quando richiamo alla mente il passato e il mio vecchio venerando amico. Egli vivrà perpetuamente nel mio cuore, perché io fui straordinariamente beneficato della sua amicizia…”.

Giacomo Boni dirige gli scavi del Lapis Niger

Giacomo Boni dirige gli scavi del Lapis Niger.